Il dibattito politico su come Firenze potrà uscire dalla crisi determinata dall’emergenza Covid-19 rischia di svilupparsi in maniera autoreferenziale, con proposte e piani calati dall’alto e privi di una portata extra municipale e di una visione complessiva.
La città non può essere considerata come un’isola, come un brand da rilanciare in modo autonomo e slegato da ogni contesto, ma come il capoluogo di una Regione, a sua volta inserita nel contesto nazionale, che potrà davvero ripartire ed uscire dalla crisi se lo farà tutta insieme e in maniera integrata.
Allo stesso tempo Firenze non può considerasi tutta come un’emanazione del proprio centro storico. La città deve finalmente essere vista come un unico organismo, di cui ricucire il tessuto sociale che si era andato lacerando.
Serve un piano complessivo che tenga conto di come riarticolare il centro con i quartieri, la città con i territori circostanti e con l’area metropolitana. Ed è un’azione che deve essere compiuta pensando a Firenze in relazione alle altre città toscane e all’intero territorio regionale.
Penso, ad esempio, a quanto il dibattito sulle infrastrutture fiorentine si stia da anni intestardendo sulla nuova pista aeroportuale, mentre sono necessari investimenti e un piano per una migliore mobilità interna, come l’estensione della tramvia e l’implementazione del trasporto pubblico, per connettere in maniera capillare e sostenibile centro, periferie, servizi; così come in infrastrutture che consentano collegamenti rapidi ed efficienti verso tutte le aree della regione.
Adesso serve un piano di rilancio che sia frutto di un’elaborazione profonda e collettiva, che coinvolga a pieno chi a Firenze abita, lavora, studia, e quindi tutti gli attori sociali, i sindacati, le organizzazioni di categoria, le associazioni, i comitati cittadini, l’Università e il mondo della cultura… e che si apra al contributo di esperti, studiosi, intellettuali, alle energie di una riflessione di livello europeo, che prenda spunto dalle migliori esperienze mondiali di trasformazione e di rilancio urbano.
Il crollo del turismo, che è stato repentino ma la cui ripresa non sarà altrettanto veloce, ha privato la città di quella che colpevolmente è stata troppo a lungo considerata fonte privilegiata di entrate e punto di riferimento assoluto su cui orientare gran parte delle scelte politiche, amministrative e urbanistiche.
Se si vuole mettere fine alla città-vetrina ad uso e consumo del turismo di massa – un modello dalle basi effimere, impattante e non in grado di distribuire adeguatamente il valore aggiunto che produce – si dovranno certamente favorire modalità diffuse e di qualità, che si rivolgano anche ai territori circostanti e tutta la Regione.
Ma se vogliamo che Firenze torni davvero ad essere vissuta da residenti, famiglie, lavoratori, studenti, serve ridisegnare una città non più per essere solo “consumata” ma per essere “vissuta”.
E quindi politiche di riduzione dei costi degli affitti abitativi e commerciali, interventi sugli immobili con un grande piano di edilizia residenziale pubblica, l’orientamento di risorse e contributi specifici per perseguire, da un lato, la diversificazione delle attività produttive ed economiche, dall’altro la formazione e la riqualificazione dei lavoratori.
Favorire il ritorno della residenza significa anche prevedere e incentivare la presenza diffusa di attività e servizi ad essa funzionali, di presidi sociali e sanitari, di asili e luoghi dedicati all’infanzia, di spazi di aggregazione e di esperienza comunitaria, di sostegno agli anziani e alle fasce più fragili.
Senza dimenticare che si deve da subito occuparsi delle migliaia di persone che da questa crisi sono colpiti più duramente, con nuove situazioni di difficoltà e di povertà che si vanno ad aggiungere a quelle precedenti e che necessitano di nuove forme di aiuto e sostegno, che in prima istanza sono contributi economici ma che poi devono tradursi in servizi pubblici garantiti e accessibili a tutti.
Mettere fine alla città della rendita, significa anche che chi governa deve essere capace di orientare gli investimenti, non solo quelli pubblici ma anche quelli privati, verso una nuova idea di città e di pretendere che chi sulla rendita si è arricchito, adesso restituisca in maniera direttamente proporzionale.
In questo modo si possono recuperare e mettere in circolo risorse in grado di finanziare grandi progetti innovativi, che rimettano al centro le persone e i loro bisogni, rigenerando e creando nuovi scenari urbani.
Non basta tentare di riaccendere un motore che già mostrava tutti i propri malfunzionamenti. Per questo credo che Firenze, come la Toscana tutta, abbia bisogno di un ampio confronto, che la Politica ha il compito di favorire creandone lo spazio, per una discussione ed un’elaborazione profonda, da cui far scaturire idee e azioni coraggiose e incisive, all’altezza delle difficoltà che l’emergenza ha fatto esplodere e dello snodo cruciale e storico di fronte al quale ci troviamo.