Continuo a girare i territori, ad ascoltare le compagne e i compagni che chiedono, e oltre a chiedere lavorano per realizzarlo, un soggetto politico di sinistra, per tornare finalmente a farla, la politica.
Un soggetto politico di sinistra che si pone l’obiettivo – dato che i motivi che ci hanno fatto continuare a lavorare fino a qui, nonostante tutto, sono ancora tutti validi e anzi sempre più necessari – di essere il primo passo verso un partito che la riunisca tutta.
Per la precisione, però, quando parlo di riunire, voglio specificare che non mi importa tanto dei partiti della sinistra o della sommatoria dei sui dirigenti, ma soprattutto delle persone, degli uomini e delle donne che pensano che per affrontare la contemporaneità, e il futuro, in un mondo ormai corroso dalle diseguaglianze sociali ed economiche, ci sia bisogno della sinistra.
Di una sinistra. Perché le etichette che per anni le si sono appiccicate dietro oggi non significano più niente. Sinistra riformista, sinistra radicale, sinistra democratica, sinistra liberale… sono parole che nel contesto che ci circonda non significano più niente. Oggi o la sinistra fa la sinistra – e quindi riesce a riprendere saldamente in mano i propri valori e a declinarli nella realtà di oggi – oppure non è. Lo scenario politico italiano, europeo, ma anche certi esempi nel mondo, sia in negativo che in positivo, sono lì a confermarlo.
Voglio essere perfino semplicistica: la sinistra cosiddetta riformista per anni ha continuato in una sorta di autodefinizione di sinistra pur smettendo di fare cose di sinistra, e aprendo all’agenda neoliberale. E’ questo che ha segnato la sua sconfitta politica e culturale (renzismo a parte, che da par suo ha accelerato il processo già in corso e lo ha reso esplosivo).
Oggi invece, laddove la sinistra torna a dimostrare vitalità e la capacità di raccogliere consenso è dove non si limita a predicare di aggiustare qualcosa, magari in nome di una non meglio definita unità, ma dove questa è in grado di interpretare rivendicazioni sociali forti e di porsi con una nuova radicalità riformatrice rispetto all’esistente.
In tanti diciamo da mesi che serve dare valori, idee, contenuti, progetti, e serve anche dare gambe e braccia, e fiato per correre (perché camminare non basta più) a ciò che intendiamo quando parliamo di una nuova sinistra, di socialismo per il XXI secolo, di una visione del mondo costruita su un modello alternativo a quello che negli ultimi decenni è stato il modello dominante. Quello della competizione e del profitto sfrenato, dei trattati europei che impongono l’austerità e il pareggio di bilancio, ma non riescono a evitare che in alcuni Stati membri i lavoratori possano essere pagati una miseria, o che in altri le imprese multinazionali possano godere di tassazioni irrisorie. Quello della retrocessione dello stato sociale e della privatizzazione dei beni pubblici, dello sfruttamento intensivo delle risorse ambientali, quello del tutti contro tutti e si salvi chi può.
Il centrosinistra, con o senza trattino, è finito, ci abbiamo creduto e sperato in tanti, ma non ha funzionato. Ormai sono in molti, anche molto più autorevoli di me, anche tra i protagonisti di quella stagione, ad ammettere che quel modello ha offerto una resistenza pressoché nulla all’avanzata dell’egemonia neoliberista. Impossibile pensare di cambiare le cose riproponendo lo stesso schema.
L’unità delle forze progressiste è qualcosa di auspicabile. Soprattutto sui territori dove l’interesse della comunità può fare a meno di fossilizzarsi sulle divisioni nazionali, che per i più restano cosa giustamente poco interessante.
Ma un’unità che sia reale, che si fondi sui temi, sulle questioni, su una visione del mondo comune rispetto alle contraddizioni della società. L’unità tanto per l’unità, a prescindere, non serve a niente. E nessun fronte indistintamente democratico o repubblicano sarà utile alla causa della sinistra. Né servirà a convincere i milioni di cittadini, anche nelle nostre città toscane, che negli ultimi anni hanno votato – e stando ai sondaggi lo rifarebbero – per quelli che si vorrebbero liquidare semplicemente additandoli come i nuovi “barbari”.
Così come non lo sarà rinchiudersi nella piccola prospettiva di organizzarsi, alla fioca luce del tramonto delle socialdemocrazie europee, per “ricostruire” qualcosa, mentre con un occhio si guarda a un altro congresso, con l’unico obiettivo possibile – poco ambizioso e soprattutto destinato a non incidere né sul quadro politico e né sul contesto sociale ed economico – di collocarsi in posizione subalterna. Senza tener conto che tutte le questioni politiche, che ci hanno portato dove siamo, sono ancora lì e non hanno neppure accennato ad essere affrontate. Credo che sarebbero questi i modi migliori per condannare la sinistra e la sua proiezione politica all’irrilevanza nella quale è finita e continua a scivolare.
Ci ritroviamo in stanze sempre più ristrette, chiudiamo il mondo fuori, perché in realtà abbiamo timore di incrociarne la rabbia, ma se solo ci provassimo ne potremmo incrociare anche le speranze. Tra le persone, appunto, quelle che stanno nei luoghi di lavoro, nelle associazioni, nei movimenti, nelle organizzazioni. E invece di parlarne e basta potremo iniziare a capire come costruire una società più giusta, e cominciare a farlo davvero. Con una prospettiva politica di sinistra, di equità, di giustizia sociale, che sappia incrociarsi davvero con la fase storica che attraversiamo, con le contraddizioni esplose della società post-industriale, con l’arretramento delle democrazie rispetto alle regole del mercato, con le risorse che si accumulano sempre più enormemente nelle mani di pochi.
Sarà necessario fare politica e nient’altro che quella. Non continuare a assistere impotenti a parole vuote e a eterni riposizionamenti, alle infinite alchimie di un pugno di generali senza esercito che continuano a elucubrare su sommatorie di gruppi di dirigenti. Servirà portare le nostre idee e i nostri valori nella società, costruire percorsi di partecipazione reale e di elaborazione collettiva, essere catalizzatori di innovazione e trasformazione sociale. Lo dico prima di tutto a me stessa. Nonostante tutto, è per questo che vale la pena impegnarsi.
Avanti, a sinistra.