Immigrazione: l’invasione inventata e la sfida dell’accoglienza

Il mio impegno per l’Osservatorio regionale sul gioco d’azzardo
17 Maggio 2016
Spiegatemi voi dunque,
in prosa od in versetti,
perché il cielo è uno solo
e la terra è tutta a pezzetti.
Comincio così, prendendo in prestito le parole finali di una bella poesia di Gianni Rodari, per parlare d’immigrazione. Perché credo che in un così forte concentrato di semplicità, sia racchiusa la chiave per una visione diversa di un fenomeno complesso come l’immigrazione.
Parole che potrebbero uscire dalla bocca di un bambino e che, come spesso succede, mettono in crisi il mondo degli adulti, che potrà impegnarsi quanto vuole ma difficilmente riuscirà a convincerlo che chi abita dentro un “pezzetto” di terra è poi così diverso da chi abita nel “pezzetto” accanto, tanto da giustificare quella linea immaginaria sulla mappa.
Purtroppo però, non si resta bambini molto a lungo. E forse questo non è il momento in cui possiamo permetterci di rincorrere le utopie. Specialmente adesso che, come ci viene detto con ripetuti allarmi, “siamo di fronte a un’invasione” e quelle linee immaginarie si traducono addirittura in muri veri e propri.
E allora proviamo con i numeri. Che ci dicono senza fronzoli che dall’inizio dell’anno al 15 agosto, sono arrivate in Italia circa 103mila persone. Un migliaio in meno rispetto agli stessi mesi del 2014. Dov’è allora l’invasione di cui molti hanno parlato quest’estate?.
Il nostro sistema d’accoglienza ospita circa 90mila immigrati. Sono lo 0,14% della popolazione e molti di questi, inoltre, sono arrivati in Italia con l’obiettivo di raggiungere altri Paesi.
L’invasione di fronte alla quale l’Ungheria ha alzato un muro di filo spinato e respinto i migranti a manganellate. La stessa che, più diffusamente, ha portato a decine di manifestazioni contro l’arrivo dei migranti, fino anche a episodi di vera intolleranza e violenza. E’ un’invasione che non c’è. Inventata da chi vuole soffiare sul fuoco della paura. Da chi sa che è più facile ottenere consenso dalla rabbia, agitando spauracchi di allarme sociale, piuttosto che cercando di affrontare davvero le questioni.
Poi all’inizio di settembre qualcosa è cambiato. C’era un bambino di tre anni morto sulla spiaggia, la foto ha fatto il giro del mondo e la freddezza dei numeri non ha potuto fare a meno di incrinarsi. Perché è troppo facile parlare di immigrazione – di questa immigrazione – che vede migliaia di persone scappare da guerre sanguinose e livelli assoluti di povertà, in termini di numeri.
Sono persone, non numeri. E qualche settimana fa ho provato a conoscerne qualcuna nel centro di San Casciano Val di Pesa, dove sono ospitati circa 30 migranti, provenienti soprattutto dal Mali. Il centro è gestito da Oxfam Italia, una Ong con solide radici in Toscana, nata e cresciuta ad Arezzo, che oggi opera in 15 Paesi del mondo, con l’obiettivo di combattere la povertà. Li aiuta a casa loro, insomma, come in tanti dicono che si dovrebbe fare. Ma li aiuta anche quando arrivano da noi.
Anche se solo in minima parte, ho ascoltato alcune delle loro storie e il percorso che li ha portati dal Mali a San Casciano, a 4mila chilometri da casa. Hanno provato a raccontarmi delle loro famiglie, uccise dalla guerra civile, delle terribili violenze subite in Libia, di come molti compagni di viaggio siamo morti su un barcone affollato.
Davvero la domanda giusta da porsi è come fare a fermarli? A impedirgli di arrivare da noi?. Davvero vogliamo che decine di migliaia di persone siano condannate solo per essere nate dalla parte “sbagliata” di una striscia di mare?
Non è giusto e non è neppure possibile. Non si può fermare l’arrivo di chi preme sull’Europa per cercare una speranza, che spesso è soprattutto quella di scappare alla morte, alla violenza, alla fame.
A prescindere dal come e dal perché sono arrivati da noi, la cosa giusta da fare è aiutarli e gestire al meglio la loro presenza. Sono arrivati in Europa, in Italia, luoghi che hanno il dovere di dirgli: “Qui siete al sicuro”. Non è difficile, basta aver guardato negli occhi di una persona, invece che pensare ai numeri.
In Toscana abbiamo inventato il modello dell’accoglienza diffusa. Si tratta di evitare di concentrare molte persone in pochi luoghi, e di creare invece una vasta rete di accoglienza, fatta di tanti luoghi di piccole dimensioni, in modo da favorire l’integrazione con la comunità.
E a quelli che dicono di “prenderseli a casa propria”, la Toscana ha risposto con un numero telefonico che in due settimane ha raccolto 470 chiamate da persone disposte a dare ospitalità ai migranti. La migliore risposta che si può dare a chi soffia sulla paura.
Tante cose però non funzionano. Dallo scarso rigore nei bandi e nei controlli negli appalti per la gestione dell’accoglienza (ne parla questo articolo di Roberto Barbieri, direttore generale di Oxfam). Alla terribile lentezza burocratica nel procedimento di richiesta e riconoscimento dello status di profugo e del diritto d’asilo.
Otto mesi per il primo colloquio di fronte alla Commissione, altri dodici per discutere un eventuale ricorso. Un “limbo” assurdo, soprattutto per chi ha familiari da raggiungere e delle prospettive di rinascita da inseguire. E se poi la richiesta non dà esito positivo, un “foglio di via”, con l’idea di rispedirli a casa, e si aprono le porte della clandestinità.
Tempo sprecato per chi vorrebbe lavorare, rendersi utile, studiare. E perché no, metter su famiglia, avere dei figli da crescere in un luogo dove possono avere un futuro. Tutte cose che non sono una minaccia per l’Europa e il nostro Paese, ma una risorsa. E se credete che l’ingenuità del bambino stia di nuovo prendendo il sopravvento, allora guardiamo ancora una volta i numeri.
Quelli che dicono come il nostro sistema di previdenza sociale abbia nel lavoro degli immigrati una risorsa indispensabile. E quelli che mostrano come le società aperte, siano quelle che hanno avuto e continuano ad avere il maggior sviluppo sociale ed economico. Insomma, i tedeschi non hanno la fama di esser particolarmente teneri, ma inseriscono nel loro sistema di accoglienza 700mila richiedenti asilo. Un numero quasi dieci volte maggiore di quello dell’Italia, che va a riversarsi positivamente nell’economia tedesca.
L’idea di salvaguardare la propria identità dalle contaminazioni, gridando di non fare entrare nessuno o solo chi si presenta col biglietto da visita, in realtà porta solo a un Europa che si atrofizza, con una popolazione sempre più vecchia, e paralizzata tra quote, trattati, pulsioni nazionaliste e equilibri monetari, incapace di quei principi di apertura e di solidarietà sui quali è stata fondata.
Quindi non c’è un’invasione, i migranti non sono una minaccia, esiste il modo per accoglierli in maniera seria e umana, e l’immigrazione può essere una risorsa.
Mentre sul perché il cielo è uno solo e la terra è tutta a pezzetti… continueremo a non avere una risposta.

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