A Roma lo scorso 12 Luglio è nata l’Associazione “Salute diritto fondamentale” per gettare le basi per una futura mobilitazione a sostegno del diritto alla salute.
E se per una volta essere innovativi significasse tornare da dove siamo partiti? Perché se è vero che la storia non si ripete uguale, è pur altrettanto vero che spesso le cose nel tempo si assomigliano. Un breve sguardo all’indietro può esserci allora utile per capire e affrontare meglio lo scenario attuale in tema di Servizio sanitario pubblico e universale e di Diritto alla Salute.
Nel 1946 l’Inghilterra, dopo la devastazione della Seconda guerra mondiale, decide di revisionare il proprio sistema di Sicurezza sociale e attraverso un comitato guidato dal prof. W.Beveridge elabora il “Welfare britannico”, destinato ad accompagnare i suoi cittadini “dalla culla alla tomba”.
Nel 1948 l’Italia inserisce nella Costituzione l’Articolo 32: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Da notare l’assoluta attualità di questo articolo, che introduce il concetto di salute, elevandola a “diritto” dell’individuo e al tempo stesso a “interesse della collettività”. Tutto ciò in linea con quanto l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) sanciva in quello stesso anno. Nella carta fondativa dell’Oms la Salute viene infatti definita come: “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia”.
Facciamo adesso un passo in avanti di 30 anni. Nel 1978 l’Italia, con la legge 833, introduce il Sistema Sanitario Nazionale (Ssn): si ponevano le basi per un servizio universalistico e pubblico, finanziato con la fiscalità generale progressiva e in grado di prendere in carico le persone dal punto di vista complessivo, con interventi di prevenzione, cura e riabilitazione. Insomma, uno strumento attraverso il quale elaborare politiche per garantire il diritto alla salute, in linea con l’Articolo 32 della Costituzione e le indicazioni dell’Oms.
Oggi, a quaranta anni dalla nascita del Servizio sanitario nazionale e a settanta dall’Articolo 32 della Costituzione, in molti sostengono che il welfare in generale e un sistema universalistico e pubblico di tutela del diritto alla salute siano diventati insostenibili e che non siano neppure più la risposta adeguata ai tempi. Cosa spinge a questa convinzione? Considerazioni sulle disuguaglianze che crescono, la ricchezza concentrata nelle mani di pochi, il lavoro precarizzato e talvolta povero, la popolazione che invecchia con il conseguente aumento delle malattie croniche, il ricorso a prestazioni sempre più care, un consumo di farmaci anch’esso in crescita, così come il loro costo e quello delle tecnologie sanitarie.
Uno scenario reale, ma la fine di quanto abbiamo conosciuto negli ultimi 40 anni non è la risposta scontata, anche se temo che pure chi non dovrebbe ne sia convinto.
Di fronte a questa errata convinzione dobbiamo invece ribadire che è giunto il momento, non più derogabile, di tornare ai fondamentali e di scegliere da che parte stare. Occorre dire con forza e chiarezza che il sistema sanitario pubblico e universalistico non solo è sostenibile, ma è più che mai una infrastruttura fondamentale per ridurre le disuguaglianze e garantire una buona qualità della vita a tutti gli individui.
Per questo partecipare al lancio dell’Associazione “Salute Diritto Fondamentale” è stato un piacere e una boccata d’ossigeno. Da parte di tutti i presenti vi è stata la conferma, non solo sul piano ideologico, ma anche su quello tecnico, dell’importanza del nostro sistema sanitario. Questo mi spinge a ritenere che le basi su cui appoggiare la proposta politica per garantire il diritto alla salute siano già presenti, a noi il compito di tenere la barra del timone nella giusta direzione.
Nel suo intervento introduttivo Marco Geddes da Filicaia, medico e promotore dell’Associazione, ha voluto ricordare come il Servizio sanitario nazionale sia stato per 40 anni una nave su cui tutti, al bisogno, potevano salire. Negli anni però, gli ultimi 10 in particolare: “a questa nave è venuto meno il carburante, l’equipaggio non è stato sostituito, l’armatore ha aumentato la tassa d’imbarco e ha rimborsato chi prendeva l’aliscafo!” Una metafora che ben chiarisce le tappe di smantellamento progressivo del sistema. Altre tempeste si addensano su questa nave: “La flat tax in primo luogo – dice Geddes – ma anche il regionalismo differenziato, che si configura come una rottura fondamentale dei principi di uguaglianza e solidarietà”.
Contro la tesi dominante della salute non come diritto ma come aspetto da affidare al mercato, ha detto ancora Geddes, si alzano voci, ma ancora isolate, voci che invece devono trovare ascolto e soprattutto elaborare una mobilitazione, sempre più necessaria. Perché, Geddes lo ha ribadito al termine del suo intervento usando le parole di Tina Anselmi, ministro della Salute nel 1978: “I diritti conquistati non sono mai definitivi, se viene meno la vigilanza”.
La giornata romana è stata dunque un primo momento in cui fare sentire voci di dissenso, è stata anche densa di riflessioni e spunti, per fare chiarezza tecnica e politica contro il pensiero dominante, che invoca come una necessità inderogabile lo smantellamento del Sistema sanitario pubblico. Il documento introduttivo è stato illustrato da Nerina Dindirid, docente di Economia Pubblica e di Scienza delle Finanze presso l’Università di Torino. Tantissimi gli interventi e i contributi, da parte di medici, docenti universitari, parlamentari, rappresentanti del mondo sindacale, del volontariato, dell’associazionismo e delle professioni sanitarie. Hanno chiuso i lavori due ex Ministri della Salute: Livia Turco, oggi Presidente della Fondazione Nilde Iotti e sempre pronta a “combattere”, come ha detto lei stessa sui temi sociali e sanitari, e Rosy Bindi. Al termine dei lavori è stato proposto un documento conclusivo, utile punto di partenza sullo stato attuale e per future azioni collettive.
Ho avuto l’onore di portare un saluto in tale contesto e ho condiviso l’ analisi e la proposta presenti nel documento finale. Nel mio breve intervento ho voluto porre l’accento su un tema che sento particolarmente a cuore: l’importanza dell’organizzazione del territorio. Il territorio è infatti il luogo in cui si possono e si devono fornire risposte integrate socio-sanitarie. Sul territorio si può dare concretezza a politiche in cui la salute viene favorita attraverso aspetti molteplici e diversificati: la formazione, la buona alimentazione, la promozione di una mobilità sostenibile, il diritto all’abitare in luoghi salubri, lo sport come strumento di socializzazione e di prevenzione, la cultura quale godimento e antidoto alla solitudine. Sul territorio la comunità, in tutte le sue declinazioni e organizzazioni, diviene comunità partecipante, quella collettività cui fa riferimento la nostra Costituzione. La sostenibilità del sistema trae da tutto ciò un innegabile vantaggio. Allo stesso tempo se ne conferma così l’obiettivo principale: consentire a tutti, qualunque sia la condizione di partenza o quella determinatesi durante la vita, di poter tendere alla felicità.
Dobbiamo quindi aprire un’ampia riflessione su questi temi e avviare una mobilitazione capace di coinvolgere davvero tutti: le istituzioni, le comunità locali, gli operatori della sanità e del sociale, le rappresentanze dei lavoratori e i lavoratori stessi, il volontariato, il mondo scientifico e intellettuale. La salute deve tornare ad essere al centro di tutte le politiche e occorre confermare il valore del Servizio sanitario nazionale come strumento per favorire il benessere dell’individuo e della collettività e cardine per superare le disuguaglianze.