Mi sono chiesta per settimane se fosse necessario che mi esprimessi in maniera chiara riguardo al referendum sulla riforma della Costituzione. Tante persone un anno e mezzo fa hanno sostenuto la mia candidatura e oggi che sono una consigliera regionale so che il mio compito è prima di tutto quello di rappresentare le istanze dei cittadini toscani e di chi mi ha dato la sua fiducia. E per i cittadini è importante che i propri rappresentanti siano vicini ai loro bisogni e problemi e facciano scelte nel merito per la loro possibile soluzione.
Ma è anche per il senso di responsabilità e la massima lealtà nei loro confronti, che ho deciso di portare avanti, e di farlo con chiarezza, le ragioni del mio NO alla riforma costituzionale, sapendo inoltre di condividere con molti, dentro alla nostra comunità, questa posizione.
Ho agito sempre con lealtà nei confronti del mio partito, ma senza per questo perdere mai il diritto/dovere di esprimere liberamente il mio pensiero e la mia opinione. E anche stavolta credo che sia giusto farlo, visto che il referendum del 4 dicembre riguarda la riforma di un terzo degli articoli della nostra carta fondamentale, la base della nostra democrazia.
La lealtà che si chiede sul piano istituzionale, non può spingersi fino all’idea che chi non condivide il contenuto della riforma della Costituzione venga considerato un eretico, un nemico del futuro, uno che vuole fermare il progresso del Paese.
Non sentivamo davvero il bisogno di spaccarsi sulla Costituzione, e di ripetere ancora una volta – se possibile in maniera ancor più accentuata – il pessimo copione di voler dividere i buoni dai cattivi, i vecchi dai giovani, quelli che hanno fallito da quelli che invece hanno la verità in tasca, i gufi e i rosiconi contro gli alfieri del progresso.
Per quanto mi riguarda, ho seguito con attenzione l’iter della riforma, ho letto e riletto il testo, e adesso che siamo di fronte alla scelta finale sono convinta che quella giusta sia votare NO al referendum.
Lo faccio però con molto amaro in bocca, perché ritengo che questa sia soprattutto una grande occasione perduta. Poteva essere un’occasione, infatti, per aggiornare la nostra Costituzione, ma di fronte al testo non si può sostenere che questa riforma è comunque meglio di niente. Non è così, come non è certamente nella nostra Costituzione che si annida l’origine dei problemi del nostro Paese.
Adesso ci troviamo alle battute finali di una campagna referendaria che dura da mesi e nella quale ritengo sia stato un errore fare del referendum sulla riforma costituzionale la madre di tutte le battaglie, lo spartiacque tra il passato e il futuro, così come quello di averla voluta identificare come il cuore delle riforme dell’attuale Governo.
Credo, infatti, senza voler adesso dare valutazioni positive o negative, che abbiano inciso e incideranno molto di più sulla vita degli italiani interventi come il Job Act o la Buona Scuola, le leggi sulle Unioni civili, sul Dopo di Noi, l’abolizione dell’Imu sulla prima casa… . Tutti interventi realizzati, così come sottolineato dal Governo nella conferenza stampa di venerdì, in soli 1000 giorni dall’insediamento. E con l’attuale Costituzione vigente.
Invece si è voluto fare della Costituzione un elemento di divisione. Qualche giorno fa, ho letto una frase del segretario del mio Partito che mi ha molto colpito. Ha detto: “Ormai è chiaro che chi vota no sceglie un’altra strada”.
E invece no. Io voterò no ma non scelgo nessuna altra strada. La mia scelta, al contrario, è dettata proprio dalla volontà di restare in strada e non sbandare… Dalla volontà di continuare a camminare in quella che ritengo la strada giusta per il Paese, per il centrosinistra e per il PD. E credo sinceramente che il mio partito avrebbe avuto il dovere, oltre che tutto il vantaggio, nel dare piena cittadinanza anche a chi ha scelto di non votare a favore della la riforma costituzionale.
In questo percorso, a dir poco accidentato, non si è avuto la cura di tener insieme “la nostra gente” e di condividere davvero le idee e i contenuti. E adesso ci troviamo di fronte a un SI e NO: non su singoli cambiamenti, ma sull’insieme di una riforma costituzionale venuta su come un legno storto, forse anche perché – caso più unico che raro – di volontà e di iniziativa governativa.
Nonostante tutto ho studiato a fondo il testo, mi sono posta in ascolto per comprendere pregi e difetti di questa riforma e farmi un giudizio libero come le scelte sulla Costituzione richiedono.
E mi sono trovata – come tanti di noi – di fronte a questo:
– un finto superamento del “bicameralismo paritario”, con un Senato delle autonomie dalle competenze scarse e confuse, tra le quali tra l’altro manca proprio quella di legiferare riguardo al rapporto tra Stato e Regioni. Una camera di “serie B” della quale tra l’altro non si conoscono le modalità di elezione da parte dei cittadini e il principio di rappresentanza. Ma soprattutto… di quali autonomia stiamo parlando?
Nella riforma c’è un nuovo accentramento del potere a livello centrale, che toglie autonomia e di fatto svuota di competenze anche le Regioni virtuose come la Toscana (mentre non tocca la questione delle Regioni a statuto speciale) che in questo modo avranno ben poca voce in capitolo sulle scelte che le riguardano. Invece di correggere gli errori prodotti dalla modifica dell’art. V, si vorrebbe tornare indietro verso un modello centralistico, proprio nel momento in cui maggiormente i cittadini e le comunità locali chiedono di partecipare e di essere coinvolti nelle decisioni. (su questo punto segnalo l’intervista su La Stampa al prof. Ugo De Siervo, presidente emerito della Corte costituzionale, che potete leggere cliccando qui o sull’immagine qui accanto).
– un ulteriore rafforzamento dei poteri del governo nel proporre le leggi, che sancisce di fatto lo svuotamento delle funzioni parlamentari già in atto con l’eccesso di decreti legge e di leggi delega, senza la creazione di giusti contrappesi;
– una nuova modalità di scelta delle alte cariche dello Stato a partire dal Presidente della Repubblica, dagli organi del Csm e della Consulta, che con l’Italicum così come è oggi (ma del diman non v’è certezza) assegna un ruolo eccessivo ad un solo partito. E in ogni caso, anche nel caso che si riesca a superare l’Italicum, una nuova legge elettorale la può approvare il Parlamento in via ordinaria, mentre le modifiche alla Costituzione restano nel tempo.
Per chi vuole approfondire, segnalo due interventi del prof. Giovanni Tarli Barbieri, ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Firenze, che potete leggere cliccando qui e qui.
E tutto questo per cosa? Per velocizzare l’approvazione delle leggi! Come se fosse questo il problema che ci attanaglia, quando siamo tra i paesi che fanno più leggi in assoluto (e in realtà solo 3 su 100 hanno bisogno di più passaggi parlamentari tra Camera e Senato). Gli esempi di leggi approvate in poche settimane, del resto, sono molti. E quando i tempi sono lunghi, quindi, non è per colpa della Costituzione, ma della volontà o capacità della politica.
Non certo per la stabilità e la governabilità: queste sono il risultato delle leggi elettorali e soprattutto della capacità del sistema politica di creare culture e organizzazioni che siano solide e proiettate al futuro, in grado di formare e selezionare una classe dirigente, senza bisogno dei Verdini di turno…
Non certo per la chiarezza e la semplicità, da molti è stato preso ad esempio il nuovo art.70, che ci fa domandare come sia possibile scrivere in una forma così fumosa e contorta le regole fondamentali della nostra convivenza civile, la nostra Costituzione. Nella quale, come si è sempre detto, la chiarezza è una delle prerogative fondamentali, perché il testo non lasci spazio a dubbi e interpretazioni e svolga nel tempo la propria funzione di garanzia per tutti i cittadini.
Sulla riduzione dei costi della politica poi, bastava intervenire sul numero dei deputati e dei senatori, oppure una semplice legge per ridurne le indennità, per fare di più e meglio. Senza considerare che parlare dei costi della politica solo rispetto al numero degli eletti mi sembra un ulteriore modo per screditare la politica come luogo di partecipazione dei cittadini e di rappresentanza democratica per l’esercizio dei poteri.
Non possiamo permetterci che la nostra Costituzione venga cambiata sotto la retorica del #bastaunsì e di una campagna fatta di slogan vuoti, nella quale chi dice sì ha a cuore il futuro del Paese mentre chi dice no è un passatista che vuole mantenere lo status-quo per biechi interessi o per rancori mai sopiti.
Non è così, siamo in molti ad avere a cuore il futuro del Paese e proprio per questo votiamo NO a una riforma piena di limiti e di difetti. E di questo ne siamo convinti, così come la maggior parte dei costituzionalisti italiani.
E’ un NO che non vuole essere contro il cambiamento, come da mesi ci viene ripetuto come un mantra, anch’io penso che tante cose in questo Paese debbano cambiare, senza dimenticarci di aggiungere che devono cambiare in meglio, e che anche la Costituzione possa essere riformata.
Ma che se si vuole farlo, si debba farlo mantenendo un’altra delle caratteristiche imprescindibili della Costituzione, ovvero che debba essere la “casa di tutti” e come tale riscontrare una condivisione e un’adesione la più ampia possibile. E tenendo presente il principio che i problemi di una democrazia si risolvono con più democrazia e non restringendo gli spazi democratici, di partecipazione e discussione.
E non è neppure un NO come quello di Salvini o di Casa Pound – visto che questa è stata una delle prime preoccupazioni di chi sostiene la riforma. Quello che ci distingue da loro è che questo è “il NO di chi vuol bene all’Italia”, così come si intitola il documento sottoscritto a livello nazionale da oltre 400 tra iscritti e elettori del PD (e le adesioni stanno continuando ad arrivare numerose), di cui sono stata tra i primi firmatari.
E’ un NO contro QUESTA riforma, che non risolve i problemi del Paese e che al contrario rischia di complicarli con un sistema confuso e sbilanciato negli equilibri istituzionali e che, proprio in un momento di crisi economica e sociale che richiederebbe coesione e unità, ha finito per spaccare in due il Paese.
Queste sono le mie opinioni, le mie convinzioni per il NO a questo referendum.
Un NO rispettoso, di quanti dentro e fuori dal nostro partito dicono SI, e anche dei tanti amici e compagni che vedo affermare sicuri e convinti che basta un sì per cambiare l’Italia.
Questo NO per me è un no sui temi, non sulle persone. Per quanto mi riguarda non è neppure un NO al nostro Presidente del Consiglio. Perché le scelte sulla Costituzione devono restare separate dai destini di un Governo o di un leader, e non esiste alcun automatismo per il quale se la riforma non passa il Governo debba cadere. E’ un NO a scelte sbagliate nel merito e nel metodo.
È un NO che guarda al mondo delle persone che rappresentiamo e alle tante altre che dovremmo riuscire a rappresentare, a includere. Un NO che cerca di esprimere pensieri e sentimenti rispetto a scelte fondamentali. E’ un voto sulla Costituzione, che è talmente preziosa che non può esserci nessun compromesso al ribasso né obbedienza rispetto alla linea maggioritaria del partito.
Una sfida molto importante ci aspetta dopo il referendum, comunque vada. Una sfida nella quale dovremo impegnarci tutti insieme, per una politica all’altezza delle aspettative dei cittadini e del Paese. Tutti si aspettano che dal cinque di dicembre, il PD pensi al molto che non va nella società italiana e a ricostruire un centrosinistra nuovo che convinca e coinvolga i cittadini e che, a prescindere dalle vicende personali di ciascuno, guardi al bene di tutti.
P.S. Per chi è interessato, anche a sottoscrivere il documento, “Il No di chi vuol bene all’Italia” lo trovate qui: https://ilnodichivuolbeneallitalia.wordpress.com e su Facebook: https://www.facebook.com/volerbeneallitalia.